pubblicato in: AA.VV., Alla ricerca delle parole perdute. La famiglia e il problema educativo, Piemme, Casale Monferrato 2000, pp. 54-76.
Il nostro punto di partenza non può essere che descrittivo e cioè la rilevazione della fragilità e della precarietà dellesperienza affettiva nel mondo contemporaneo occidentalizzato. Ciò che più sinteticamente colpisce è la crescente difficoltà allesistenza di storie damore. Secondo laccezione comune (impropria) la loro frequenza è massima; ma secondo laccezione propria dellespressione le cose non stanno così, perché ciò di cui lamore oggi sempre più raramente capace è proprio di avere storia, di durare nel tempo, di farsi costruzione e quindi dimora per gli uomini.
È facile sorprendere alcune costanti che caratterizzano il mondo degli affetti allinterno di una società tecnologica come quelloccidentale contemporanea. Anzitutto essa libera da coercizioni di costume tradizionali, non più necessarie alla coesione sociale, perché non più funzionali alla produzione/distribuzione della ricchezza e alla costituzione e salvaguardia dei ruoli sociali. La tecnologizzazione della società ha un oggettivo effetto di liberalizzazione dellesperienza affettiva e del costume.
In secondo luogo, però, la liberalizzazione si distribuisce su due livelli di segno contrario. Da una parte, infatti, la caduta dei tabù incentiva la spettacolarizzazione dellaffettività e favorisce il corollario della sua commercializzazione: stampa e spettacolo frugano in continuazione nelle vicende biografiche o fittizie dei nostri contemporanei; lettori, radioascoltatori e teleascolatatori amano mettere in scena i loro casi affettivi; lindustria culturale offre vicende amorose ad ogni angolo comunicativo; stampa e spettacoli erotici sono alla portata di tutti attraverso una pubblicità coerentemente senza pudori, ecc. Daltra parte, però, tutto ciò che degli affetti non può essere messo in scena e commercializzato si trova drasticamente privatizzato; soprattutto il suo senso per lumana esistenza non è oggetto di nessun dialogo culturale e sociale, ma è affidato (ma meglio sarebbe dire rinchiuso) nei confini di unindividualità solitaria.
In tal modo laffettività liberalizzata è ad un tempo anche privatizzata, nella sua capacità di veicolare un senso socialmente condivisibile. Per un verso si lancia limperativo nevrotizzante: siate (affettivamente/sessualmente) felici, per laltro si veicola il messaggio: ma la cosa non ci riguarda; la tua felicità non ha alcun senso condivisibile. In questo contesto è ancora valida la diagnosi di H. Marcuse sulla desublimazione repressiva che caratterizzerebbe la società occidentale tecnologicamente avanzata1. Si pensi, per contrasto, alla cultura barocca, così carnale, così emotiva ed emozionante, così sensualmente attiva, ma anche sempre così pubblicamente impegnata in un giudizio e in un conflitto sul mondo degli affetti.
Più in profondità, sotto questi condizionamenti sociali del costume, ancora vigoreggiano alcune idee tipicamente moderne dellamore umano, che in diverso grado occupano il subconscio culturale del nostro tempo.
Nella modernità due sono le idee erotiche prevalenti. La prima interpreta lamore come una forza irrazionale egoistica che separa gli uomini. È la posizione di Hobbes e di Nicole, secondo cui gli uomini sono preda di un amor proprio incapace di aprirsi veramente allaltro e che per questo pone la ragione al suo servizio, come calcolo delle convenienze e rimedio degli inconvenienti del conflitto inevitabile. Kant riscatta la ragione da questa subordinazione allamor proprio, ma tiene ferma lidea che laffettività è forza irrazionale esterna ed estranea allordine razionale.
La seconda idea direttrice è quella romantica, che afferma invece la potenza unitiva dellamore, intesa come forza arazionale capace di fondare le esistenze in ununità superiore e felicitante. È la risorgenza del mito platonico dellandrogino originario, secondo cui allinizio non è la dualità distinta delluomo e della donna secondo il racconto della Genesi -, ma lunità indistinta di un essere totipotente e terribile, che nella condizione della separazione (decretata da Zeus per punire la sua arroganza) va spasmodicamente ricercando il suo ricongiungimento2.
Nelle idee moderne dellamore qualcosa dellantica sapienza va irrimediabilmente perduto3. Tre sono i criteri, che abbandonati determinano una variazione profonda dorientamento nellesperienza e nella concezione dellamore. Anzitutto, come manifesta il carattere comune alle due idee moderne citate leliminazione della sinergia di desiderio e conoscenza, di tendenza e ragione, dintelletto e volontà, e quindi la separazione del mondo degli affetti dal mondo della valutazione razionale. Al contrario, in Aristotele la dottrina delle parti dellanima permette di pensare, tra lirrazionale e il razionale, il luogo misto della loro sinergia, della loro reciproca causalità, in cui la tendenza muove la ragione e la ragione illumina la tendenza; così che la figura concreta sarà quella dell intelligenza desiderante e del desiderio raziocinante. Si comprende come da questa cancellazione derivino altre due perdite irrimediabili: la perdita del fine e quella della gradualità. Se, infatti, la tendenza non è intrisa di intelligibilità, neppure ha un fine intelligibile, cioè un suo bene perfettivo comprensibile, in cui essa trovi la sua realizzazione; ma sarà necessariamente concepita come unenergia cieca, senza scopo e senza spazio per una libera decisione, ineluttabile. Non solo, ma se non vi è un logos degli affetti, allora lenergia della tendenza non avrà che una direzione unica, non potrà distribuirsi analogicamente secondo gradi diversi di realizzazione; non potrà darsi unidentica ragione degli affetti che possa trovare differenti figure e momenti (amore sessuale, amore parentale, amore damicizia, amore civile, ecc.). La tendenza avrà sempre un unico e costante significato, come unenergia meccanica qualificata solo dalla sua intensità.
Certamente questi richiami non risolvono tutti i problemi, perché resta sempre vero il carattere enigmatico dellamore, che nellesperienza universale presenta insieme il carattere della potenza che simpone alluomo e lo trascina e, insieme, quello della sua libera iniziativa; quello dellautoaffermazione e, insieme, dellesaltazione dellaltro. Si direbbe che ogni vicenda amorosa sia in concreto la gioiosa e sofferta ricerca della conciliazione dei suoi aspetti contrari.
Tipicamente lamore nasce dallinnamoramento. La prima esperienza dellamare ha il carattere dellevento subitaneo, spontaneo ed estatico. È un accadimento che improvvisamente sorprende, allinsaputa dello stesso interessato, che si trova coinvolto in una situazione nuova, in cui gioca un ruolo primario la spontaneità attraente del rapporto. Nella prospettiva dellinnamoramento lamare appare come una fascinazione che crea attrazione e tensione volta alla soddisfazione. La sanità dellinnamoramento stesso dipende per questo dallunità dinamica di questi momenti; la loro separazione, infatti, dà luogo a forme unilaterali e tendenzialmente patologiche. Linnamoramento ridotto a fascinazione decade a estetismo, lattrazione ad emotivismo e la (attesa di) soddisfazione a edonismo. In tal modo linnamoramento si raccorcia in forme di narcisismo, che gli impediscono di evolvere come vedremo nella pienezza dellamore. Linnamoramento si rinchiude in se stesso, si nega alla sua esigita evoluzione e diventa sempre in qualche modo e misura distruttivo.
Estasi e movimento insieme caratterizzano linnamoramento, che è già esperienza dellintenzionalità centrifuga dellamore, che si porta sullessere dellaltro, benché nellinnamoramento sia tipico anche il fatto che tale movimento verso laltro sia fortemente compensato e limitato dallattesa di corrispondenza: laltro affascina con spontaneità e con altrettanta spontaneità è attesa la soddisfazione, cioè il piacere della relazione corrisposta.
La spontaneità non ha nulla in sé di negativo. Al contrario, essa è profezia del senso più alto e globale di tutto il fenomeno amoroso come tale. Lattrazione che luomo prova per la spontaneità è infatti indice del radicale desiderio di una condizione trasfigurata dellesistenza, in cui il rapporto del soggetto con sé, con altri e con le cose sia senza resistenza e senza fatica, ma di plastica armonia e di piena comunione4. Proprio perché lintensità del piacere della spontaneità è tanto forte, esso è facile fonte di seduzione: la relazione ad altri viene commisurata allaspettativa della spontaneità e dunque allattesa della sua facile corrispondenza e della sua immediata piacevolezza. Se non si innesta un movimento qualitativamente diverso, nellinnamoramento lapertura allaltro resta inevitabilmente limitata allaspettativa della sua immaginata soddisfazione.
La concezione romantica dellamore è la teorizzazione e la glorificazione della spontaneità come contrassegno e garanzia dellamore; contro levidenza universale che in realtà nulla nellesistenza umana è produttivo e fruttuoso senza unelaborazione che, trasformando il dato iniziale, lo conserva e lo accresce. Il lavoro, e non la spontaneità, è la condizione universale della valorizzazione dei beni. Nulla dà frutto senza coltivazione. Lerrore dellinnamoramento concluso in se stesso è paragonabile, a quello di colui che, trovatosi in un luogo di campagna, ameno e accogliente, pensasse di poterlo abitare stabilmente senza fare nulla, senza edificazione e senza coltivazione, collillusione che quella situazione graziosa e gratificante potesse in qualche modo permanere tale essendo solo fruita, come se non dovesse arrivare mai il buio della notte o il freddo dellinverno.
Non è senza significato che la dimora di Adamo nel giardino primordiale, ove tutto era già favorevole e felicitante, fosse allinsegna del lavoro: Il Signore Dio prese luomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Anche lepisodio della trasfigurazione di Gesù, così comè raccontata da Luca, è carico dinsegnamento al nostro proposito. Nella trasfigurazione del loro maestro gli apostoli prediletti hanno una straordinaria esperienza estatica, che Pietro, come sempre il più intraprendente, vorrebbe fissare. Pietro disse a Gesù: Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosé e una per Elia; ma osserva forse con una certa ironia levangelista, egli non sapeva quel che diceva5. Gesù infatti riconduce i suoi in pianura, dove li attende un grande lavoro tra la gente, dove solamente la trasfigurazione di Gesù acquista tutto il suo senso di anticipazione della gloria che sarà raggiunta attraverso il travaglio della passione e lo spogliamento della morte.
Lesperienza dellinnamoramento è per sua natura solo introduttoria a quella più grande dellamore. Questo è reso manifesto dal problema del tempo, vale a dire dallinterrogativo sulla durata dellaffezione. Linnamoramento, che già si gratifica dellesperienza dellattrattiva, della spontaneità dello slancio e forse delliniziale corrispondenza, è però un accadimento che non ha in se stesso il suo senso. Linnamoramento è uno stato inaugurale ed una condizione aurorale, che porta in sé linterrogativo sulla sua durata, e perciò lansia della sua continuazione. Ma a questa sua urgenza linnamoramento - con le sue sole risorse - non può rispondere che in due modi, tipici della mentalità contemporanea: la sua indefinita iterazione (è il criterio del don Giovanni), attraverso cui linnamoramento cerca di perpetuare se stesso riproducendo continuamente la felice situazione di statu nascenti6; oppure, o insieme, la sua consumazione attraverso ununione che immediatamente accompagni linnamoramento stesso (è il caso sempre più spettacolarizzato della coincidenza di innamoramento e unione sessuale), quasi a volersi convincere che il punto di partenza è già subito anche il punto di arrivo e che quindi linnamoramento è sufficiente a se stesso. In realtà, quello che si consuma è un errore di prospettiva, di cui più avanti potremo apprezzare tutta la gravità antropologica.
Lessenza dellamore è lavorare per qualcosa, far crescere qualcosa, [ ] amore e lavoro sono inseparabili. Si ama ciò per cui si lavora, e si lavora per ciò che si ama7. Con queste parole di E. Fromm ritroviamo la prospettiva costruttiva sullamore, di cui già si diceva. Linnamoramento è unassegnazione, meglio un trovarsi assegnati a un ideale di felicità. Lamore invece non è un accadimento involontario, bensì è il frutto di un lavoro, con tutto ciò che questo termine significa. Un lavoro, infatti, implica consapevole investimento di risorse e trasformazione produttiva del dato di partenza. Il lavoro è impiego di risorse nella cui produttività si confida per raggiungere nuova e maggiore ricchezza attraverso elaborazione e collaborazione. Nel caso dellamore esso significa che il dato spontaneo di partenza diventa oggetto di una trasformazione collaborativa, sulla base della premessa che anche laltro sia portatore di una ricchezza che può essere messa in comune; per questo lamore è come listituzione di una impresa cooperativa o di una società per azioni, fortemente interessate al fatto che la sinergia dia luogo ad un arricchimento comune.
Con lamore si esce così dalla situazione della tensione estatica e si entra in quella dellazione comune; in altri termini con lamore si esce dal regime della dualità unificata e si entra in quello dellunità duale. Preso in se stesso, infatti, linnamoramento è rappresentabile come un cerchio che mantiene il suo centro, ma che, attratto da un altro punto del piano a lui esterno, si allarga (o si trova dilatato) fino ad includerlo come un ospite stranamente fascinoso. Lamore, invece, è come lellisse a due fuochi, in cui laltro non è incluso nel cerchio altrui, ma è per così dire centro comprimario, anchegli condizione di possibilità della figura stessa. Con altra immagine potremmo dire che se linnamoramento è assimilabile alla concezione e alla gestazione dellaltro dentro di sé, lamore rassomiglia invece alla nascita in cui laltro è posto/si pone in relazione sulla base della sua irriducibile e manifesta identità. E, come fa intendere la figura dinamica del concepimento/nascimento, linnamoramento è per sua natura a termine, superato il quale da situazione vitale diventa circostanza mortale, mentre lamore ha la natura intima della perpetuità. Linnamoramento porta in sé il germe dellamore, ma questo può crescere e maturare solo se linnamoramento accetta la sua legge evolutiva e non le fa violenza innamorandosi narcisisticamente di se stesso.
Certo il binomio di spontaneità e di lavoro può apparire antitetico, e così anzi appare spontaneamente; nel senso che da un lato sembra stare limmediatezza della corrispondenza e della soddisfazione, mentre dallaltro sembra imporsi un processo di scambio e di impegno che significa anche resistenza, fatica, rischio. Se le cose stessero veramente così, si dovrebbe concludere che è preferibile la piacevolezza spontanea dellinnamoramento, seppur fragile e breve, alla durata laboriosa (e quindi in fondo penosa) dellamore. È difficile negare che questo sia un pensiero comune molto diffuso, come si riscontra nel detto secondo cui il matrimonio è la tomba dellamore. Ma dal nostro punto di vista il detto è vero solo se per amore si intende quello romantico; così come è vero il suo simmetrico, secondo cui si potrebbe dire che lamore romantico è la tomba del matrimonio. Lequivoco fondamentale cade sullidea di lavoro, di cui non si apprezza lessere fonte straordinariamente ricca di legame e di soddisfazione, anzi lunica fonte di soddisfazione vera e propria, rispetto a quella piuttosto solo intuita nellinnamoramento. Il lavoro non è perciò il momento penoso che succede allentusiasmo iniziale, ma ne è piuttosto la ripresa che lo può far fruttificare: è avviato dalla fiducia nel possibile frutto ed è sostenuto dal gusto e dal piacere della sua stessa costruttività. Il lavoro è infatti sempre lavoro della libertà nel tempo, che assumendo responsabilmente il rapporto, è già di per sé esercizio e crescita gratificante della libertà, in grado di gioire per i benefici che riceve e che sa procurare.
Dobbiamo allora ribadire il carattere originario della bipolarità di innamoramento ed amore. Questa è probabilmente la struttura del mondo affettivo come tale; cioè del mondo della relazioni umane, che sono sempre relazioni damore. Tale struttura è più evidente nella relazione sessualmente rilevante del maschile-femminile, ma vale in modo analogico ai diversi livelli e ambiti dellesperienza. Sempre lattrattiva affettiva nasce spontanea e sempre questa nuova situazione di per sé introduce la mozione di una messa a frutto del bene incontrato. In tal modo innamoramento e amore restano momenti distinti e irriducibili, ma anche correlati. Luno non abolisce laltro, né gli si può sostituire, ma neppure luno deriva dallaltro, quasi il primo fosse la premessa e il secondo ne fosse il compimento. Piuttosto bisogna pensare, quasi a rovescio, che linnamoramento introduce unintuizione globale felicitante che lamore coltiva e mette a prova nella sua capacità di portare beneficio concreto per i soggetti coinvolti nella relazione. Se linnamoramento ha un carattere prevalentemente estetico, lamore ne ha uno principalmente agonico.
Ancora però non si è detto quale sia lenergia di trasformazione che agisce nel lavoro dellamore. Perché si dia elaborazione di una materia in un processo lavorativo è necessario che a questa sia applicata una forza capace di produrre una trasformazione conveniente. Nel nostro caso la materia è la relazione innamorata, ma lenergia è il giudizio. Qui si evidenzia limportanza già sottolineata di non separare desiderio e conoscenza e quindi il mondo degli affetti dalla valutazione. La metamorfosi dellinnamoramento, infatti, avviene via via che esso si lascia illuminare e soppesare dal giudizio della ragione, avvertita non come tribunale esterno e misura estrinseca dei sentimenti, ma come interprete autorizzato del senso degli affetti. Infatti, mentre il sentimento registra la reazione soggettiva dellaffezione, né non potrebbe fare altrimenti, è la ragione che è in grado di leggervi una finalità e quindi di suggerire un cammino.
Ma qual è il fine che la ragione coglie nel sorgere di unaffezione? Poiché questa come si diceva è un tendere a/portarsi su lessere dellaltro, ciò che la ragione vede, giudicando, è il senso della relazione affettiva, non solo come attesa della propria soddisfazione, ma anche e prevalentemente come affermazione dellessere dellaltro. La meraviglia dellamore sta proprio nel fatto che accada lunità dei due, cioè la loro co-affermazione e la co-interessenza della loro sinergia. Lenergia del lavoro relazionale è dunque un giudizio che la ragione formula, interpretando ciò che è in gioco nellinterazione. Tale giudizio potrebbe essere espresso così: io gioisco perché tu sei. Questa formula esprime il fondamento dellamore e dunque il criterio direttivo del suo operare, perché evidenzia il termine autentico della relazione, appunto lessere dellaltro, senza giungere al quale ancora non cè amore nella sua piena e benefica realtà. Ciò che la ragione ed essa sola - comprende è, infatti, che già linnamoramento è portatore di unintenzionalità ontologica, che inaugura la possibilità dellamore e ne indica tutta la vera sostanza. Lamore comincia, allora, quando linnamoramento è guardato con gli occhi del giudizio, che rende laffetto capace di comprendere chi esso abbia inaspettatamente ospitato e lo mette in grado di compiere un atto di apprezzamento radicale non nei confronti di qualcosa dellaltro, ma dellaltro come tale, cioè dellaccadimento della sua esistenza, in un atteggiamento di ammirazione (in cui è recuperata ad un livello superiore lestaticità dellinnamoramento) e di comunicazione operativa. Infatti, quellimpresa cooperativa, che è lamare, non potrebbe nascere che dallapprezzamento del valore e delle risorse che lesistenza dellaltro comporta, in altri termini da un atto di fiducia nelle potenzialità della sua esistenza, che si fa volontà di collaborazione. Ma tale apprezzamento e tale fiducia nascono solo da quel giudizio ontologico.
Si tocca qui un punto di primaria importanza non solo per il tema dellamore, ma per ogni aspetto dellantropologia. La tendenza spontanea dellantropologia moderna, infatti, è di identificare il soggetto con le sue operazioni. Questo operazionismo (che può essere sia idealistico sia materialistico) apparentemente esalta la soggettività, perché mette in primo piano liniziativa e lattività delluomo, ma in realtà conduce alla sua falsificazione, perché è fondato su un errore. Nessun ente finito, infatti, può essere il suo operare, perché in quanto finito è soggetto a un divenire reale, in cui avviene un incremento (e un decremento) effettivo del suo essere. Di conseguenza, se coincidesse pienamente con il suo divenire la sua consistenza sarebbe alla mercé del susseguirsi dei differenti stati; in altri termini lidentità del soggetto sarebbe dissolta nella molteplicità delle sue determinazioni, che, anzi, non potrebbero neppure essere dette sue, perché mancherebbe la possibilità di attribuirle a qualche principio permanente8. In realtà, lidentità di soggetto e di operazione è un nome divino: colui il cui essere è identico al suo operare, è Dio. Tale identità, infatti, esprime lattualità dessere di chi non ha bisogno di divenire per essere tutto ciò che è e la cui operazione non è acquisizione di realtà, ma espressione di perfetta pienezza. La vicenda della filosofia da Hegel a Nietzsche potrebbe essere presa anche a questo proposito come evoluzione esemplare, che va dalla divinizzazione del Soggetto identitario alla sua dissoluzione entro la finitezza dellaccadere.
Questa rarefatta dottrina ha in realtà unincidenza profonda sulla concreta esistenza umana, come nel caso della relazione amorosa. La distinzione di soggetto e operazioni significa, infatti, che il soggetto è sempre e in ogni caso più del suo agire. Il soggetto è nel suo agire, che ne definisce lapparire storico, ma è anche sempre oltre a esso. Di conseguenza il soggetto è dotato di unidentità inapparente, che anzi come tale non può apparire mai e resta segreta per lo stesso Io. Per questo la relazione umana non può avvenire che in una dialettica di velamento e di svelamento, in cui si dà lo spazio della libertà e in cui si fonda il senso del pudore, come esprime lantica usanza della sposa velata. La persona umana è costitutivamente velata e lentrare in rapporto con essa è sempre una manifestazione, che come tale implica un principio di alleanza e di promessa, di rispetto e di collaborazione
È perché lidentità soggettiva non coincide con la sua storia espressiva che sono veramente possibili atteggiamenti fondamentali nelle relazioni umane appunto come il pudore proprio e altrui, ma anche come il pentimento nei propri confronti e il perdono nei confronti di altri. Il pudore, infatti, non è una misura quantitativa del coprimento corporale, ma è coscienza dellimpossibilità di identificare il mio svelamento o quello dellaltro (del corpo, ma anche dei sentimenti, dei pensieri, ecc.) con la mia o laltrui identità9. Analogamente, se io midentificassi assolutamente con quanto ho fatto, che senso avrebbe pentirmene? Questatto è reso possibile solo dalla coscienza della mia trascendenza rispetto alloperato e da una certa sua commisurazione con la mia identità eccedente. Altrettanto è da dire per il perdono, che non è tale se è fondato sulla dimenticanza come talvolta si afferma -, ma si basa sul riconoscimento dellimpossibilità di concludere lidentità e il valore dellaltro entro il perimetro delle sue azioni.
Ma la differenza di soggetto e operazione sta a fondamento anche dellamore come tale e della sua distinzione dallinnamoramento. Lamore infatti comincia quando si assume consapevolmente e quindi responsabilmente lintenzionalità ontologica nei confronti dellaltro, che già linnamoramento spontaneamente ha iniziato. Questo daltra parte, benché porti entro di sé il germe della possibilità dellamore, nasce da una corrispondenza immediata, necessariamente suscitata da qualche particolare aspetto manifestativo dellaltro. Linnamoramento è in altre parole strutturalmente parziale e trova soddisfazione proprio nel fruire di questa parzialità, che come tale è precaria. Ogni manifestazione dellamato, infatti, porta in sé limpronta della sua totalità nascosta, ma questa appunto poiché non si dà mai in se stessa, ha bisogno del lavoro degli affetti per potersi dispiegare, necessita insomma della storia di quellamore per apparire. Ma ciò è possibile su questo si vuole portare lattenzione solo perché lamore è quellintenzionalità dellaffetto e del giudizio che si rivolge allessere dellaltro fin nella sua identità nascosta. Per questo lamore se è veramente tale si sottrae al limite dellimmediata corrispondenza e instaura un regime di stabile, e per sé perpetua, collaborazione. Dallesperienza damore ci si rende conto così che solo lamore è veramente libero, mentre linnamoramento resta fondamentalmente limitato entro i confini di una corrispondenza reattiva.
La distinzione di innamoramento e amore permette ragionevolmente di fare qualcosa verso cui la cultura contemporanea ha una resistenza tenacissima, e quindi anche una ribellione assai vivace: il giudizio di valore portato sui sentimenti. È chiaro, infatti, che se tra ragione e affetto vi è estraneità e lamore è identificato con lo spontaneo innamoramento, ogni pretesa di valutare il sentire è avvertita come una violenza inaccettabile. A queste condizioni non si può ammettere che vi sia un discernimento a riguardo della validità dei sentimenti. Il sentire è di principio elevato a legge e quindi ha diritto come tale di dettar legge, perché al cuore non si comanda. E, in effetti, alla spontaneità del sentire non ha alcun senso comandare. Ma il problema non è dare ordini agli affetti, che non hanno le orecchie per sentirli, bensì vagliare il loro valore. Rispetto a che cosa? Alla loro possibilità di trasformarsi in amore. Linnamoramento è qualcosa che capita e vi sono soggetti, così fatti per conformazione e storia personale, che vi sono esposti con frequenza: potrebbe anche essere indizio di una peculiare sensibilità. Ma lamore è invece opera della libertà; è iniziativa, lavoro e produzione e quindi, come tale costituisce un criterio abbastanza preciso di discriminazione tra gli affetti che possono cambiare in questa direzione perché ne portano il germe fin dallinizio, come già si diceva e quelli che sono destinati a restare a livello della reazione emotiva.
Il caso tipico può essere quello dellinnamoramento delladolescente, che ha tutti i suoi diritti, ma non può pretendere di imporsi come qualcosa di seriamente impegnativo, cioè di essere considerato amore, giacché salvo casi eccezionali è evidente che non ha nel suo stato attuale le risorse per portarsi ad un livello superiore e va dunque trattato, con delicatezza e fermezza, per quello che è: lemergere di una domanda, piuttosto che il delinearsi di una risposta. Analogo è il caso delluomo sposato, magari con figli, al quale non è difficile che capiti di rifare lesperienza dellinnamoramento, che se isolata non può non accampare i suoi diritti. Ma, se essa è sottoposta al giudizio valutativo che si diceva, mostra con facilità di non potersi trasformare in autentico amore. Il dar seguito allinclinazione del nuovo innamoramento infatti non potrebbe effettuarsi, in ogni caso, senza determinare situazioni di ingiustizia, senza infliggere sofferenze, senza usare in qualche modo violenza nei confronti del coniuge, dei figli, eventualmente di altro coniuge od altri figli, ecc. Ma tutto ciò è contraddittorio con lintenzione damore e nessuna ipocrisia, per quanto diffusa, può nascondere questa verità.
Come si diceva ( io gioisco perché tu sei), da parte dellamante la soddisfazione damore prende la forma della gioia, perché il suo piacere si trasforma nel compiacimento per il beneficio che è laltro, e quindi per il beneficio che laltro riceve dal riconoscimento attivo del valore della sua esistenza e per quello che dallaltro si riceve nellopera della sua manifestazione. Essenziale è comprendere la natura ontologica anche della gioia damore, perché esattamente di questo si tratta. Lamore è coltivazione libera e responsabile del rapporto, ma può compiere la sua opera solo sulla base di un giudizio desistenza e di apprezzamento del suo valore, da cui deriva quel compiacimento ontologico che è il sentimento peculiare della gioia.
Finché questo non accade, non si può propriamente parlare damore; ma daltra parte giungere a questo livello non è cosa che vada da sé, ma deve essere perseguita volontariamente, seguendo e svolgendo la logica intrinseca dellamore stesso: per attuare lopera liberante dellamore è necessario già lesercizio forse quello più radicale della libertà.
Questo è ben visibile nel rapporto tra amore e sessualità. La relazione amorosa è, ovviamente, sempre sessuata, ma non sempre sessuale. Anzi, non è essenzialmente tale. Eppure lesperienza sessuale ha una rilevanza eccezionale, addiritura paradigmatica, per il mondo degli affetti. Essa infatti è dotata di alcune caratteristiche che ne fanno la spontanea immagine della felicità. A motivo della peculiarità dl suo piacere, dellintensità della sua affettività, della forza della sua relazionalità intersoggettiva, della potenza della sua fecondità sembra realizzare lesperienza damore al suo massimo grado. In realtà, rispetto allamore e al suo impegno ontologico, la genitalità è solo una possibile forma espressiva dellamore, che mantiene tutta la sua verità e la sua dignità nella misura in cui è docile manifestazione dellamore e non pretende di esserne criterio e condizione. La sessualità ha il suo giusto rapporto con lamore nella misura in cui è concepita e visuta con valore simbolico, cioè come espressione parziale e intensiva della realtà totale ed estensiva dellamore. Ma per giungere a un vissuto così libero e magnanimo della sessualità è necessario che lesperienza damore sia cresciuta al punto dessere in grado di ricomprendere in sé e di proprozionare a sé lintero mondo degli affetti.
Solo a livello dellamore maturo si scioglie lenigma, che già era stato segnalato a livello dellinnamoramento e che la concezione romantica dellamore non è assolutamente in grado di risolvere. Al suo primo presentarsi, infatti, laffezione è antinomica, perché non è in grado di conciliare davvero la tensione tra affermazione di sé ed esaltazione dellaltro: nella mozione dellaffetto si ama laltro per se stesso oppure la propria soddisfazione rispetto a cui laltro è in fondo una mediazione strumentale? Prima che si avvii la logica dellamore vero e proprio lantinomia non è risolvibile, appunto perché la felicità dellinnamoramento consiste esattamente nella corrispondenza, e quindi nel legame della reciprocità della soddisfazione. Nellesperienza damore, invece, la soddisfazione non è incentrata sulla reciprocità dellintesa che è evidentemente positiva e augurabile -, ma sul valore ontologico di sé e dellaltro e sul beneficio obiettivo che linterazione procura, che la luce del giudizio fa vedere. Per questo lamore può anche sopportare benché con sofferenza, ma senza contraddirsi - la condizione della non-intesa e, al limite, della non-reciprocità. La forza dellamore sta infatti nellintima convinzione che lamare ha in se stesso la sua ragione, perché è la forma di massima pienezza sperimentabile della libertà. Infatti, se la libertà è anche relazione gratuita ad unaltra libertà, cioè relazione ad unaltra libertà come tale10, laccadere dellamore è la forma più densa di libertà e quindi, ad un tempo e senza contrasto, affermazione dellaltro e affermazione di sé. Nellamore lantinomia della relazione soddisfacente si risolve così in paradosso: quello di un vincolo che libera, perché liberamente scelto e perché realizzante lintima natura della relazione libera. Quanto più lamore è autentico, tanto più laffermazione dellaltro e laffermazione di sé sono coestese.
Giunto a se stesso lamore è così in grado di percepire la sua universalità , che esalta ancor più la sua natura paradossale. Lamore, infatti, è rivolto sempre e comunque a un Tu individuale; lamore non sopporta astrazioni, perché mira allesistente concreto. Ma proprio perché si rivolge in modo gioioso e operoso allesistere dellaltro, è aperto e interessato allesistere dogni altro. In quanto lamore è compiacimento per lesistere di un altro determinato soggetto, è implicitamente compiacimento per lesistere dogni singolo altro. Lamore é sempre esperienza metafisica, cioè percezione intensiva dellessere e, quindi, non può limitarsi, ma per sua natura è aperto e disponibile alluniversalità concreta dellessere. Questo non è unastratta possibilità, ma una realtà ampiamente e chiaramente confermata dallesperienza: chi più ama, più è capace damare; quanto più è intenso quel determinato amore, tanto più esso è capace di accogliere altri e di aver amore per altri. I coniugi che si amano desiderano lespansione del loro amore nei figli; la famiglia in cui ci si ama, è aperta allamicizia e allospitalità; i genitori che amano i propri figli, sono capaci di farsi carico a vario titolo anche di quelli degli altri e così via. Linnamoramento è esclusivo, lamore invece è espansivo. I medievali dicevano che il bene è diffusivum sui: altrettanto bisogna dire dellautoespansività dellamore, confermando così il paradosso di un bene, quello dellamore, che è sempre singolare ed è insieme infinitamente partecipabile.
Per questo - anche se ciò non fa che accrescere il paradosso dellamore -non è contraddittorio dire che esso come si accennava è possibile anche nella condizione estrema della non corrispondenza. Sembra contraddittorio affermare come possibile una cooperazione, qualè lopera damore, nella solitudine. In effetti non è questa la condizione normale dellamare, ma tutto ciò che siamo andati affermando sulla potenza damore, ci fa ora intendere che lamore può operare per laltro in ogni caso; benché condizionato nelle sue forme e nei suoi modi, nei suoi tempi e nei suoi rendimenti dalla risposta dallaltro, allamore non si può mai impedire il suo operare.
Eppure, nonostante lattraente bellezza di questa prospettiva, ognuno avverte che le sue conclusioni non appartengono alla normalità dellesperienza; anzi esigono qualcosa deroico per essere attuate. Vivere lesperienza damore presenta, infatti, tre livelli di difficoltà, che definiscono insieme tre aree di impotenza in contrasto con liniziativa dellamare.
Innanzitutto, la difficoltà di vivere totalmente la fiducia che limpresa amorosa comporta. Lamore, sè detto, vive del giudizio sul valore di sé e dellaltro e quindi sulla fiducia nella fruttuosità benefica della cooperazione. Nonostante ciò appartenga alla fisiologia dellamore ed esprima con chiarezza, sostenuta da molte conferme, la logica stessa della vita, è esperienza universale la difficoltà di esercitare tutto il credito necessario. Unincertezza strana e uninaspettata pesantezza frenano lo slancio dellamore, quasi a non voler rischiare troppo e ad assicurarsi della buona riuscita della cosa facendo affidamento su un calcolo breve dei costi e dei benefici, incapace di far fronte allampiezza dellimpresa e al suo autentico bilancio.
Ad un secondo livello, di maggior profondità, allamore fa obiezione la circostanza ben frequente - in cui la sua offerta di lavoro comune sia rifiutata. Se lamore è affetto trasformato dal giudizio in volontà di collaborazione benefica, la sua più grande sofferenza non può non essere il non trovare la disponibilità, totale o parziale, allinterazione. È il momento della delusione e della tentazione di disperare di sé, benché in se stesso come si diceva - lamore mantenga intatte le ragioni della sua iniziativa. Lamore infatti vale qui esplicitarlo non ha propriamente contrario: proprio per lassolutezza della sua libertà, non ha e non può avere ragioni a sé contrarie. Linnamoramento, in quanto strutturalmente legato alla corrispondenza, può capovolgersi nel suo contrario, lodio; lamore invece può annientarsi, ma non può capovolgersi. Tuttavia lannientamento dellamore è una possibilità, che contraddice la sua natura, perché, in quanto affermazione gioiosa della realtà dellaltro, è di per sé perenne. Si pone perciò il problema di sapere se è possibile salvare lamore dalla disperazione della solitudine.
Ma, infine, un interrogativo più grande e complessivo grava sullesperienza damore. Lamore infati non può ignorare di essere in tensione polare con la spontaneità dellinnamoramento. Questa come si è visto ha il significato di esprimere in modo eccezionale il desiderio che abita luomo di giungere ad una condizione desistenza in cui domini piena corrispondenza e compiuta armonia. Questa profezia è lutopia dellamore, che, innegabile come principio dinamico dellaffezione umana, non saprebbe però dove trovare ragionevolmente la sua piena realizzazione storica. Lamore come si diceva è la messa alla prova storica dellintuizione radicale di felicità, ma non ha in sé la forza di produrre un compimento: esso è lavoro benefico e gratificante, non instaurazione del paradiso. Non ci si può non domandare, perciò, se non si potrà mai dare una condizione sintetica di storia damore e di felicità.
Diventa chiaro a questo punto che lamore umano è abitato da una profonda e inevitabilre drammaticità, perché da una parte ha in sé il movimento della propria attuazione operosa e universale, ma dallaltra non è garantito nella sua riuscita e nel soddisfacimento del suo più radicale desiderio.
Gli interrogativi che lesperienza dellamore presenta, ma a cui essa stessa non sembra poter rispondere, sono come tre segnali della necessità intrinseca allamore umano di guardare oltre se stesso, per vedere se non vi sia una condizione inedita dellamore in grado di riscattare lenigma della sua incompiutezza. I tre interrogativi possono essere letti come tre vie sulle quali lamore umano incontra dal suo interno la prospettiva religiosa; cioè lipotesi della sua dipendenza da unenergia superiore capace di adempiere tutta la sua aspirazione, e in questo senso di salvarlo.
Nel cristianesimo lamore umano è salvato dalla sua partecipazione allamore di Dio, che non solo è la ragione ultima della sua esistenza, ma che anche il principio della sua trasfigurazione, in forza del dono della sua agape trinitaria. La prospettiva religiosa qui si fa radicale: solo se lamore è già realtà vivente e affermata, è possibile sperare di giungere a farne lesperienza integrale; altrimenti gli interrogativi senza risposta, che rendono oscura la sorte dellamore, non possono non apparire come una minaccia, come la possibile morte dellamore. E la paura della morte11 sbarra la strada alliniziativa dellamore. Lamore, perciò, che per sua natura non ha contrari, solo per grazia può viversi come tale, cioè può divenire amore a cui nulla fa obiezione, amore assoluto, come quello di Cristo che nel venerdì santo dellamore opera beneficamente nel tempo stesso della derelizione universale e della radicale ostilità. È questa la testimonianza dei santi, che con s. Giovanni possono dire in pienezza di aver creduto allamore12 vittorioso di Cristo e di averne sperimentato leccezionale forza liberante.
1 Cfr. H. Marcuse, Eros e civiltà, tr. it. Einaudi, Torino 1968.
2 Cfr. Gen., 1, 27: Dio creò luomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò; Platone, Simposio, 189e: Landrogino era una unità per figura e per nome, costituito dalla natura maschile e da quella femminile accomunate insieme, e nelle forme e del nome (...) e 190d: Dunque, da così tanto tempo è connaturato negli uomini il reciproco amore gli uni per gli altri che ci riporta allantica natura e cerca di fare di due uno e di risanare lumana natura.
3 Per un ampio inquadramento del tema cfr. sotto un profilo più sociologico N. Luhmann, Amore come passione, Laterza, Bari 1985 e sotto un profilo più filosofico e attento al paradigama classico A. Malo, Antropologia dellaffettività, Armando, Roma 1999.
4 Per una più ampia considerazione dellargomento cfr. F. Botturi, Lintrinseca dimensione religiosa dellessere umano, in AA.VV., Fondamenti antropologici dellinsegnamento della religione cattolica, a cura di C. Bresciani, La Scuola, Brescia 2000, pp. 9-34.
5 Gen., 2,15 e Lc., 9,33.
6 Cfr. F. Alberoni, Innamoramento e amore, Garzanti, Milano 1990. Lautore riconosce in pagine suggestive che lesperienza umana è strutturata secondo la polarità dellinnamoramento (che corrisponde alla condizione rivoluzionaria dello statu nascenti) e dellamore (che corrisponde allistituzione) e giustamente osserva che listituzione ha bisogno della vitalità dello stato sorgivo direi della sua utopia -; ma poi non rintraccia nessuna novità qualitativa nellamore, se non quella della permanenza e della stabilità, che però hanno solo nellinnamoramento la loro verità (p. 79). Linnamoramento risulta in definitiva il criterio dautenticità dellamore.
7 E. Fromm, Larte di amare, CIL, Milano 1963, p. 42 (corsivo mio).
8 Così, infatti, ragiona lempirismo radicale contemporaneo, che giunge con coerenza a negare realtà al soggetto come sostanza unitaria e permanente; cfr. D. Parfit, Ragioni e persone, Il Saggiatore, Milano 1989.
9 Cfr. V. Melchiorre, Metacritica delleros, Vita e Pensiero, Milano 1977, in part. pp. 31-123.
10 F. Botturi, Formazione della coscienza morale: un problema di libertà, in AA.VV., Per una libertà responsabile, a cura di G.l. Brena, Ed. Messaggero, Padova 2000, pp.73-95.
11 Ebr.2,15.
12 1 Gv. 4,16.